La moda politica di Pierpaolo Piccioli

Lo scorso primo ottobre Valentino ha presentato la collezione Primavera Estate 2024. Pierpaolo piccioli ha fatto sognare ancora una volta il suo pubblico, impregnandone gli occhi di bellezza e libertà.

Più che una semplice collezione, questa, dice il designer, è stata un’azione politica.

L’atmosfera della sfilata è onirica e non solo grazie agli abiti.

La location è infatti parte fondante dell’intera collezione e del concept che c’è dietro. Ci troviamo in una galleria dell’Ècole des Beaux Arts di Parigi, monumento fondamentale simbolo del Neoclassicismo e dell’Impero Napoleonico.

Il luogo dove Piccioli ha fatto sfilare le sue creazioni è stata una scuola d’arte. Il punto di partenza per la collezione è stato proprio la concezione e il ruolo della scuola sulle persone. La scuola è un luogo in cui si formano nuove menti e culture, un universo in cui si studia il bello.

La collezione, accompagnata dalla performance artistica con la musica di FKA Twigs and Koreless, ha celebrato la libertà delle donne, fuori da ogni cliché.

L’emancipazione femminile che ci racconta il designer promette di essere indipendente dallo sguardo maschile.

Piccioli ci è riuscito: ci troviamo davanti ad abiti che liberano le donne rendendole potenti indipendentemente dal fatto che indossino un jeans o un mini abito in macramè.

Negi outfit, quasi essenziali, si legge confidenza e consapevolezza del corpo. La nudità qui non è mai volgare o grezza, ma diventa liberazione, portatrice simbolo di un rapporto intimo con il corpo.

Per la creazione di questi abiti, il designer ha ancheutilizzato una nuova tecnica: l’altorilievo, una lavorazione che scolpisce il tessuto in 3 dimensioni, creando forme barocche di foglie, frutta, fiori e animali che incorniciano il corpo nudo.

Nella palette cromatica della collezione troviamo -ovviamente- il rosso, il Pink PP, ma anche il grigio, il burro, il glicine, il verde e il denim ma, soprattutto, il bianco. Cosa c’è di più intimo e puro del bianco?

Un colore diventa qui il simbolo dell’essenziale rapporto che si crea tra abito e corpo, un rapporto che nasce sulla base dell’espressione, tramite i vestiti, appunto, della propria identità. Gli abiti, però, come insegna Piccioli, non sono solo un mezzo per esprimere noi stessi, ma possono farsi carico di una liberazione dei corpi, elevando all’ennesima potenza emancipazione e sicurezza dentro ognuno di noi.

Non è un caso che la collezione di cui ho parlato sia nata in questo momento storico.

Pierpaolo piccioli è italiano e, a guardarla adesso, l’Italia fa un po’ paura.

Il male del paese nasce sicuramente dalla politica (abbiamo un governo di estrema destra), ma è inevitabilmente permeato anche nella popolazione.

Ma parliamo di abiti.

Se il compagno della premier di un paese dice alle donne che per evitare di essere stuprate non devono ubriacarsi, se la concezione delle donne ai livelli più alti è questa, non c’è da meravigliarsi se una ragazza stuprata da sette mostri viene poi insultata sui social perché postava foto in mutande e… “allora se l’è cercata”.

Gli abiti sono strettamente collegati a tutto ciò. Non è raro trovare uomini (e donne) che giustificano gli stupratori perché la vittima era vestita in modo “provocante”. In queste persone è presente l’immagine degli uomini come bestie primitive incapaci di trattenere le loro voglie.

È un problema culturale a cui, ad oggi, si fa fatica a vederne la risoluzione.

Tutto questo per dire che quello che ha fatto Pierpaolo piccioli non è solo una collezione, è politica. Quando la moda comprende il bisogno di parlare dei problemi dell’epoca in cui sta vivendo, allora un designer sta facendo politica.

L’Italia è ed è sempre stato un paese maschilista, non giriamoci attorno.

La collezione di Piccioli sarebbe stata necessaria come lo è oggi anche vent’anni fa. L’importante è averlo fatto. L’importante è che se ne parli, ancora.