Zara ha annunciato ieri una nuova collaborazione con Nanushka, il marchio ungherese fondato da Sandra Sándor nel 2006, noto per il suo design minimalista e funzionale, arricchito da un tocco di lusso. Questa volta, la partnership non si limiterà solo all’abbigliamento, ma includerà anche articoli per la casa. Si tratta di una mossa strategica, in parte ispirata al successo della collaborazione di Zara Home con il designer Vincent Van Duysen, che ha visto un rinnovo per la terza volta quest’estate.
L’annuncio di Nanushka non sorprende, considerando la serie di collaborazioni recenti di Zara: a fine settembre è stato lanciato il secondo capitolo della collaborazione con Harry Lambert, due settimane fa è stata presentata una collezione con Stefano Pilati, e a novembre ci sarà una collaborazione con Kate Moss. A inizio ottobre, invece, è stata annunciata una partnership con Samuel Ross, prevista per il 2025. L’intensificarsi di queste collaborazioni suggerisce che il colosso spagnolo del fast fashion ha trovato una formula efficace: un fitto calendario di collaborazioni ed edizioni limitate per attrarre clienti nei negozi e generare un senso di urgenza nell’acquisto, mentre si riposiziona nel mercato e attira l’attenzione nei circoli della moda. Con l’espansione verso prodotti per la casa e il beauty, come i prodotti per capelli co-firmati da Guido Palau, ci si può chiedere se le collaborazioni di Zara siano destinate a diventare la norma.
Recentemente, Pambianco ha riportato che, secondo Statista, il fatturato del settore fast fashion potrebbe raggiungere i 136 miliardi di dollari quest’anno, con previsioni di crescita fino a 187 miliardi entro il 2027. Questa espansione avvicina il fast fashion all’industria del lusso, che per lo stesso anno avrà un giro d’affari di 145 miliardi di dollari. Tuttavia, i problemi nel settore manifatturiero italiano e il calo delle vendite nel lusso stanno creando difficoltà per i grandi gruppi. La crescente distanza tra il fast fashion e il lusso potrebbe derivare dalle costanti collaborazioni, che legittimano Zara agli occhi degli ex-clienti aspirazionali del lusso, trasformandoli in acquirenti. È interessante notare che, in alcuni casi, i prodotti co-firmati da Zara contengono più materiali naturali rispetto ad altri brand. Pilati stesso ha espresso stupore per la qualità produttiva di Zara.
Questa strategia sta funzionando. Non solo Zara si sta lanciando in collaborazioni specifiche, come quella con l’artista indiano Jayesh Sachdev per il Diwali, ma anche H&M sta pianificando un grande evento per celebrare le sue passate collaborazioni con designer, in occasione del ventennale dalla prima partnership con Karl Lagerfeld. H&M presenterà una riedizione di articoli di seconda mano, recuperati tramite la piattaforma Sellpy, durante un tour europeo, culminando in un rilascio online. Questa iniziativa non celebra solo la storia di H&M, ma sottolinea il suo peso nel settore della moda di design.
Sebbene queste collaborazioni stiano contribuendo a rendere la moda più accessibile, è importante considerare che la loro espansione potrebbe essere una risposta alla crisi del sistema del lusso. Queste iniziative offrono una soluzione evolutiva per adattare l’offerta creativa alla domanda commerciale, permettendo a designer indipendenti di raggiungere un pubblico più vasto. Designer come Stefano Pilati, ad esempio, potrebbero non essere riconosciuti dalle nuove generazioni, a causa della loro clientela limitata rispetto al mercato globale, sempre più diviso tra ricchi e meno abbienti.
Questa clientela ristretta non riesce più a sostenere i designer come in passato, costringendoli a cercare opportunità nel mercato di massa per farsi conoscere. Non c’è nulla di male in questo: anche designer di fama, come Jonathan Anderson, collaborano con Uniqlo senza suscitare polemiche. Accettare collaborazioni con il fast fashion può essere vantaggioso, a patto di superare l’elitismo tipico della moda e di non trascurare l’impatto ambientale della grande distribuzione. In un contesto in cui il mercato del lusso è bloccato in una spirale di prezzi elevati, sempre più lontano dal middle market, le collaborazioni stanno rendendo più accettabili gli acquisti di capi “firmati” da Zara, Uniqlo o H&M. Forse, un giorno, le collaborazioni di Zara diventeranno davvero tutto ciò che riusciremo a permetterci.