Il cimitero di Atacama dove i nostri vesiti riposano in pace

I nostri abiti a fine vita arrivano nel Deserto di Atacama, Chile. Ogni anno migliaia di tonnellate di rifiuti arrivano nel Paese sudamericano, grazie alla zona franca stabilita dal governo per incentivare l’economia locale. 

Il deserto di Atacama si estende dal Perù meridionale al Cile settentrionale, si estende per oltre 100.000 km2, ed è considerato il deserto più arido al mondo. In questa zona del Cile si trova il porto di Iquique, fondamentale per il trasporto di merci internazionale. La città è una zona franca, un’area delimitata dal governo dove è possibile trasportare la mercanzia senza pagare le tasse doganali. Per questo è un’area fondamentale sia per il governo cileno sia per quelli esteri. Il problema si pone nel contenuto dei container che arrivano. 

Al porto di Iquique arrivano circa 60.000 mila tonnellate di vestiti usati all’anno. Secondo un report di McKinsey, società di consulenza, nel 2022 sono stati fatti il 45% di resi e il tasso è in aumento del 63% su base annua. I danni ambientali creati dall’abbigliamento che torna indietro sono enormi: i costi di ricondizionarli, sanificarli e verificare se ci sono danni sono molto più alti del prezzo del prodotto stesso; quindi, la via più conveniente è mandarli ad aziende terze che le rivendono al chilo nel Sud-est asiatico, America del Sud e in Africa. Arrivano in queste zone anche gli abiti che mandiamo ad associazioni di negozi dell’usato. Viene fatta una selezione di abiti che possono essere venduti e la restante parte viene data da queste aziende terze che le trasporta in queste aeree di rifiuto.  

Il governo cileno ha incentivato questo trasporto merci con l’idea di aiutare l’economia del Paese. Vicino al deserto è situata la città di Alto Hospicio dove è presente un mercato enorme chiamato Quebradilla dove gli abitanti vendono tutto quello che arriva. Le balle di abiti che giungono sono talmente tante che è infattibile poter commerciare tutto, quindi si butta via. La realtà di Atacama e i danni ambientali causati dai nostri rifiuti li possiamo ben vedere nella serie Junk, creata da Matteo Ward e prodotta da Sky E Will Media.

Matteo Ward è CEO e cofondatore di WRÅD, uno studio di design che si occupa di sviluppo sostenibile. Nella docu-serie viaggia in sei nazioni maggiormente coinvolte nei problemi che la moda provoca all’ambiente. Il primo episodio è ambientato in Cile, dove esplora il mercato di Alto Hospicio e le montagne di rifiuti presente nel deserto. Intervistando gli abitanti che rivendono queste merci, una di loro gli spiega che ciò che noi consideriamo rifiuto, per loro è oro. Sono persone che abitano nella zona povera della città, per loro questa spazzatura è l’unica fonte di guadagno. Eppure, non riescono a vendere tutto ciò che arriva e sono costretti a buttare la restante parte nel deserto. Si formano delle vere e proprie dune fatte di abiti e scarpe, alcune volte nascoste sotto la sabbia per nascondere la vera quantità di rifiuti lasciati. Matteo Ward spiega che la differenza tra una bottiglia, una busta e una maglia è pari a zero. Tutti e tre gli oggetti sono fatti di plastica e questi accumuli rimarranno lì per secoli.  

Tutto questo è il prodotto della disinformazione della gente. Pensiamo che la fine della vita di un capo di abbigliamento finisce nella spazzatura o nelle donazioni che facciamo, ma non è così. Stiamo recando danni all’ambiente e alle persone che vivono vicino queste enormi pattumiere. Infatti, per far scomparire il problema questi prodotti vengono bruciati e di conseguenza inalati dagli abitanti che vivono nei dintorni. Fermiamoci un attimo prima di agire, riflettiamo sulle nostre azioni come ad esempio gettare rifiuti. Ricordiamoci che tutti i nostri prodotti hanno un’impronta su questo pianeta e continuano a vivere nell’ambiente e in mezzo a persone meno fortunate di noi.