È come se avessimo costruito una casa piena di dinamite. Abbiamo messo bombe e progetti ovunque, e ora i muri stanno per esplodere. Ma noi continuiamo a viverci dentro
Kathryn Bigelow
È una mattina come tutte le altre: c’è chi va a golf, chi pensa alla proposta di matrimonio da fare la sera alla moglie, chi sta a casa con il figlio malato e chi va a lavoro. Cosa succederebbe se all’improvviso la minaccia di un missile nucleare incombesse sulla tua città? Cosa succederebbe se gli organi di stato avessero solo diciotto minuti per scegliere il da farsi? Sono queste le domande che si è posta la regista e sceneggiatrice statunitense Kathryn Bigelow per realizzare “A House of Dynamite”, thriller politico-apocalittico presentato alla 82ª Mostra del cinema di Venezia e uscito su Netflix questo Ottobre, che ci porta a rifletteresulla pace utopica che ci troviamo a vivere.
Kathryn Bigelow nel 2025
Il film è diviso in tre atti, ognuno dei quali segue un punto di vista diverso della videoconferenza di emergenza indetta dopo che lo STRATCOM (centro di comando congiunto del dipartimento della difesa statunitense) ha rilevato un ICBM, missile nucleare balistico intercontinentale, diretto verso gli Stati Uniti. Dall’annuncio del pericolo inizia un timer, diciotto minuti in cui gli organi di difesa governativi devono decidere come agire. Si parte da un DEFCON 3 (livello di allerta delle forse dell’ordine statunitense in scale 5-1) fino ad arrivare al livello 1, quando si scopre che il missile colpirà al 100% la città di Chicago. Il NORTHCOME (centro di comando congiunto del Dipartimento della difesa nel Pacifico) ordina immediatamente il lancio di due GBI, missili intercettori anti-balistici, per sventare l’attacco, ma nessuno dei due riesce nel suo compito. Lo spettatore osserverà tutti i minuti precedenti all’impatto (che visto il finale non siamo neanche sicuri avverrà) da tre diverse ali del governo: quello della Casa Bianca (WHSR e FEMA), del comando militare strategico e del presidente.Noah Oppenheim, sceneggiatore del film, usa diverse semplici frasi dette all’inizio della videoconferenza per farci capire che stiamo vedendo tre punti di vista diversi della stessa cosa. Se frasi come “Hai visto il baseball ieri sera” o i rimprovero dell’ufficiale per la scrivania sporca non bastassero a farci cogliere questa suddivisione, Oppenheim denomina ognuna delle tre parti con un titolo simbolico: “L’inclinazione si appiattisce”, per sottolineare come il periodo di pace nucleare post guerra fredda si inclina verso la fine, “Colpire un proiettile con un proiettile”, relativo alla difficoltà di riuscita dell’operazione di difesa, e, infine, “Una casa piena di dinamite”, il punto di vista del presidente che va a riassumere e spiegare il finale del film, ma a occhi attenti anche l’intera pellicola.
Nel finale infatti, la Bigelow ci lascia sospesi. Non vediamo l’impatto del missile, non sappiamo i danni che farà, non sappiamo chi muore, chi rimane ferito o che fine faranno i nostri protagonisti e i loro parenti. Ma, soprattutto, non sappiamo chi lo ha lanciato e perché lo ha fatto. Ma è davvero così importante saperlo? La risposta della regista è no. Bigelow dichiara, infatti, che “L’antagonista è il sistema che abbiamo costruito per porre fine al mondo in un batter d’occhio”, sottolineando così in primis le possibili conseguenze disastrose dovute al continuo sviluppo della ricerca sugl’armamenti nucleari, come possiamo vedere anche oggi in Russia, e, in secundis, criticando l’ipocrisia del pace condivisa dal governo.
“A House of Dynamite” vuole essere una metafora dell’oggi. La pellicola non cerca un nemico all’esterno, ma si focalizza sulle dinamiche interiori e interpersonali di quei pochi individui che hanno la responsabilità del destino del proprio popolo, e così facendo denuncia la fragilità intrinseca delle armi nucleari. La vera esplosione non è quella rumorosa del missile, ma è quella silenziosa della morale, istituzionale e umana, che travolge chi deve decidere il destino del proprio paese in appena diciotto minuti. E come fai a decidere il futuro di così tante persone? Come decidi il contrattacco se ogni scelta porterà solo ad altri morti e ad altri scontri? È proprio questo il punto del film, porci davanti alla situazione di appetente pace globale, dove siamo tutti in buoni rapporti ma sotto abbiamo chili e chili di armamenti che, al primo errore, sono pronoti a distruggerci. “È come se avessimo costruito una casa piena di dinamite. Abbiamo messo bombe e progetti ovunque, e ora i muri stanno per esplodere. Ma noi continuiamo a viverci dentro”, questa breve frase che la Bigelow ha sentito in un podcast riassume alla perfezione l’intera filosofia dietro al film. Siamo davvero consapevoli di ciò che succede dietro le quinte?
“A House of Dynamite” non si ferma a mostrarci le solite immagini catastrofiche, spettacolarizzando il dolore e la paura, ma ci porta a una riflessione spietata sulla vulnerabilità del potere e sulla follia del nucleare, ci porta ad accettare che chi è qui per difenderci è un’umano come noi: di prim’occhio forte e preparato ma che davanti all’ignoto ha paura, non sa cosa scegliere proprio come noi. Kathryn Bigelow trasforma l’incubo atomico in un esperimento narrativo di tensione pura e disperata umanità, a fine film aleggia in aria una domanda: siamo pronti all’esplosione dei muri?