Dalla fotografia ai social, perché l’immaginario dei ’90 affascina ancora.
Ogni epoca torna, ma i ’90 non se ne sono mai davvero andati.
Li vediamo nelle passerelle, nei feed di Instagram, nei filtri che simulano la grana della pellicola e nei look che mescolano jeans a vita alta, cardigan oversize e scarpe da ginnastica vintage.
Ma ciò che affascina oggi dell’estetica anni ’90 non è solo la forma, ma è l’attitudine.
Un equilibrio raro tra imperfezione e libertà, tra autenticità e sperimentazione, che nel mondo saturo e iperprodotto di oggi suona quasi come una rivoluzione.
La nostalgia come filtro culturale
Negli anni ’90, la fotografia e la moda si erano liberate dal glamour artificiale degli ’80.
Corpi reali, luce naturale, spontaneità: era l’epoca di Corinne Day, Juergen Teller, David Sims.
L’immagine tornava vera, anche se imperfetta.
Oggi, in un’era dominata da algoritmi e perfezione digitale, quella spontaneità torna come antidoto.
La nostalgia diventa un linguaggio estetico e psicologico: non vogliamo solo ricordare, vogliamo sentire di nuovo quella libertà visiva.
Ecco perché anche su TikTok e Instagram i filtri imitano le videocamere VHS, le texture bruciate, la pellicola Kodak Gold, simboli di un passato che sembra più sincero del presente.
Moda: il ritorno dell’anti-fashion
Il minimalismo di Helmut Lang, le silhouette pulite di Jil Sander, i tagli decostruiti di Margiela: negli anni ’90 la moda parlava una lingua silenziosa e ribelle.
Era anti-glamour ma sofisticata, essenziale ma carica di significato.
Oggi quella poetica è tornata come reazione al fast fashion e alla sovrapproduzione: quiet luxury, abiti che durano, palette neutre, materiali autentici.
Allo stesso tempo, torna anche il lato “grunge” e ironico dei ’90, da Miu Miu a Diesel, che riafferma un’idea di libertà estetica, di imperfezione come scelta stilistica.
È la moda che non chiede di essere capita, ma vissuta.



Fotografia: l’estetica della verità
La fotografia anni ’90 era intima, quasi diaristica.
Pensiamo a Nan Goldin, Wolfgang Tillmans, o Larry Clark: non costruivano immagini, raccontavano vite.
Oggi quella stessa urgenza ritorna nei fotografi contemporanei che scelgono la pellicola o il digitale “sporco”, la luce naturale, la vulnerabilità.
La verità visiva è diventata il nuovo ideale estetico: meno perfezione, più presenza.
Un ritorno che non è retro, ma una reazione emotiva all’eccesso di artificio.
Social media: l’imperfezione come linguaggio
Persino i social, terreno dell’immagine levigata, stanno riscoprendo la bellezza dell’imperfetto.
Il successo di piattaforme come BeReal o i profili “casual” su Instagram lo dimostrano: oggi vogliamo mostrarci “come siamo”, ma in modo curato, proprio come negli anni ’90, quando la naturalezza era costruita con consapevolezza artistica.
La casualità estetica diventa un nuovo codice di autenticità.


